ASPETTI
          BIOLOGICI ED ECOLOGICI DELLE "TEGNÙE":
          BIOCOSTRUZIONE, BIODIVERSITÀ E SALVAGUARDIA
          
          di  Massimo Ponti
          foto di  Piero Mescalchin
          Testo
          tratto da:
          Ponti, M. (2001) Aspetti biologici ed ecologici delle "tegnùe":
          biocostruzione, biodiversità e salvaguardia. Chioggia, rivista
          semestrale di studi e ricerche del Comune, 18: 179-194.
          Le
          immagini non si riferiscono ai testi ma hanno solo valenza descrittiva
          della fauna presente.
           
          "...
          questo mare deve presentare una dimora opportuna alle produzioni sì
          vegetabili che animali amanti d'abitazione d'indole disparata ... e
          per conseguenza vi abbondano gli animali coperti d'integumenti duri
          per lo più calcarei, i quali decomponendosi contribuiscono di nuovo a
          formare concrezioni parimenti calcaree, che rendono quei letti
          ineguali ed aspri ..."
          Giuseppe
          Olivi, 1792
          Che
          ad interrompere la monotonia delle distese sabbiose e fangose
          nell'Adriatico settentrionale vi fossero delle formazioni rocciose,
          substrato idoneo allo sviluppo di una flora e di una fauna peculiare,
          e che infine gli organismi stessi potessero contribuire alla
          formazione e all'accrescimento di queste strutture, era già ben noto
          all'Abate Giuseppe Olivi che nel 1792 li descriveva con dovizia di
          particolari nella sua opera "Zoologia Adriatica".
          Con il nome popolare di "tenùe" vengono oggi indicate un
          gran numero di rocce che affiorano dai sedimenti nord adriatici in una
          vasta area tra Grado e le foci del fiume Brenta. Purtroppo fino quasi
          ai giorni nostri, di questi ambienti, ostili ai pescatori che operano
          con reti a strascico, nessuno o quasi si è più occupato, tant'è che
          nemmeno Vatova nel 1949 ne fa menzione nella sua fondamentale opera di
          descrizione della fauna bentonica dell'Alto e Medio Adriatico.
          Ritornate agli onori della cronaca e all'attenzione della scienza a
          partire dalla seconda metà degli anni sessanta grazie agli studi
          geologici intrapresi da Stefanon e colleghi (Stefanon 1966, 1967,
          1970; Braga & Stefanon 1969; Stefanon & Mozzi 1972; Newton
          & Stefanon 1975) oggi questi ambienti sono oggetto di indagini da
          parte di numerosi ricercatori sia nel campo della geologia (Newton
          & Stefanon, 1982; Gabbianelli et al. 1997; Colantoni &
          Taviani 1980; Colantoni et al. 1997a, 1997b, 1998) sia in
          quello della biologia (Mizzan 1992, 1994, 1995; Cesari & Mizzan
          1994; Gabriele et al. 1999). Nonostante questo sono ancora
          molti gli aspetti da chiarire sia sulla formazione sia sull'evoluzione
          di queste formazioni rocciose nonché sulla flora e la fauna ad esse
          intimamente associate.
          Biocostruzione
          Fin dai primi studi è stato messo in evidenza come questi
          affioramenti siano in realtà molto eterogenei presentando morfologie
          e strutture molto variabili ed estensioni comprese tra pochi e
          centinaia di metri quadrati. L'area di distribuzione include gran
          parte dell'Adriatico settentrionale e l'intervallo batimetrico spazia
          da 10 a 40 m di profondità.
           Secondo
          i vari studi, la loro origine primaria, di cui qui non ci occuperemo,
          appare comunque complessa e in alcuni casi può essere ricondotta ad
          una iniziale cementazione carbonatica di sedimenti clastici (sabbie) e
          bioclastici (gusci di conchiglie ed esoscheletri) che costituiscono lo
          strato di base più o meno spesso; probabilmente in questi casi si
          tratta di beachrocks formatesi circa 4.000 anni fa, quando il
          livello del mare era più basso, sulle quali successivamente si sono
          poi imposte forme organogene, direttamente generate cioè da organismi
          biocostruttori. Nel favorire la cementazione dei clasti e lo sviluppo
          di organismi biocostruttori appare importante, anche se non
          completamente chiarito, il ruolo rivestito dalle emissioni di gas
          metano presenti in corrispondenza di alcuni affioramenti e diffuse in
          vaste aree dell'Adriatico settentrionale (Colantoni et al.
          1997a, 1997b, 1998; Gabbianelli et al., 1997).
Secondo
          i vari studi, la loro origine primaria, di cui qui non ci occuperemo,
          appare comunque complessa e in alcuni casi può essere ricondotta ad
          una iniziale cementazione carbonatica di sedimenti clastici (sabbie) e
          bioclastici (gusci di conchiglie ed esoscheletri) che costituiscono lo
          strato di base più o meno spesso; probabilmente in questi casi si
          tratta di beachrocks formatesi circa 4.000 anni fa, quando il
          livello del mare era più basso, sulle quali successivamente si sono
          poi imposte forme organogene, direttamente generate cioè da organismi
          biocostruttori. Nel favorire la cementazione dei clasti e lo sviluppo
          di organismi biocostruttori appare importante, anche se non
          completamente chiarito, il ruolo rivestito dalle emissioni di gas
          metano presenti in corrispondenza di alcuni affioramenti e diffuse in
          vaste aree dell'Adriatico settentrionale (Colantoni et al.
          1997a, 1997b, 1998; Gabbianelli et al., 1997).
           Dal
          punto di vista morfologico, Newton e Stefanon (1982) riferiscono
          dell'esistenza di due tipologie fondamentali di "tegnùe":
          da una parte veri e propri "reefs" o barriere
          organogene interamente o quasi realizzate da organismi biocostruttori,
          dall'altra rocce sedimentarie più o meno grandi e spesso in forma di
          lastre su cui gli organismi creano solo sottili "croste" di
          ricoprimento. Di fatto, qualunque corpo solido sommerso come ad
          esempio i gusci di grossi bivalvi (ostriche, pinne e pettini), oggetti
          abbandonati o relitti, possono costituire il fulcro di partenza per lo
          sviluppo di organismi incrostanti che coi loro gusci o scheletri
          calcarei si accrescono gli uni sugli altri, inglobando altri gusci e
          sedimento, originando "biostrutture".
Dal
          punto di vista morfologico, Newton e Stefanon (1982) riferiscono
          dell'esistenza di due tipologie fondamentali di "tegnùe":
          da una parte veri e propri "reefs" o barriere
          organogene interamente o quasi realizzate da organismi biocostruttori,
          dall'altra rocce sedimentarie più o meno grandi e spesso in forma di
          lastre su cui gli organismi creano solo sottili "croste" di
          ricoprimento. Di fatto, qualunque corpo solido sommerso come ad
          esempio i gusci di grossi bivalvi (ostriche, pinne e pettini), oggetti
          abbandonati o relitti, possono costituire il fulcro di partenza per lo
          sviluppo di organismi incrostanti che coi loro gusci o scheletri
          calcarei si accrescono gli uni sugli altri, inglobando altri gusci e
          sedimento, originando "biostrutture".
          
           Nel
          caso dei reefs propriamente detti i principali organismi
          costruttori sembrano essere le alghe calcaree, seguite in ordine di
          importanza dai madreporari, tra cui Cladocora caespitosa e Astroides
          calycularis, briozoi e policheti serpulidi. Nel caso delle croste
          di ricoprimento la componente di serpulidi appare più ridotta a
          favore dei briozoi. La componente algale varia comunque da zona a zona
          ed è principalmente influenzata dalla penetrazione della luce
          (profondità e torbidità dell'acqua) e dai tassi di sedimentazione a
          cui è sottoposta. In generale le biocostruzioni sono un fenomeno
          complesso, ben rappresentato nelle zone tropicali ma presente e molto
          importante anche nell'area mediterranea, con diversi aspetti e forme.
          Tali strutture sono formate da popolamenti densi, spesso costituiti da
          poche specie, a base di alghe calcaree sciafile che si sviluppano sia
          su substrati duri sia mobili, in condizioni di scarsa luminosità. Il
          concrezionamento è fondamentalmente legato a fattori quali la velocità
          di crescita della specie algale dominante e il tasso di
          sedimentazione. Le velocità di accrescimento per alcune "tegnùe",
          desunte sulla base degli spessori raggiunti e delle datazioni
          eseguite, sono tra 0.25 e 0.75 mm all'anno (Gabbianelli et al.
          1997).
Nel
          caso dei reefs propriamente detti i principali organismi
          costruttori sembrano essere le alghe calcaree, seguite in ordine di
          importanza dai madreporari, tra cui Cladocora caespitosa e Astroides
          calycularis, briozoi e policheti serpulidi. Nel caso delle croste
          di ricoprimento la componente di serpulidi appare più ridotta a
          favore dei briozoi. La componente algale varia comunque da zona a zona
          ed è principalmente influenzata dalla penetrazione della luce
          (profondità e torbidità dell'acqua) e dai tassi di sedimentazione a
          cui è sottoposta. In generale le biocostruzioni sono un fenomeno
          complesso, ben rappresentato nelle zone tropicali ma presente e molto
          importante anche nell'area mediterranea, con diversi aspetti e forme.
          Tali strutture sono formate da popolamenti densi, spesso costituiti da
          poche specie, a base di alghe calcaree sciafile che si sviluppano sia
          su substrati duri sia mobili, in condizioni di scarsa luminosità. Il
          concrezionamento è fondamentalmente legato a fattori quali la velocità
          di crescita della specie algale dominante e il tasso di
          sedimentazione. Le velocità di accrescimento per alcune "tegnùe",
          desunte sulla base degli spessori raggiunti e delle datazioni
          eseguite, sono tra 0.25 e 0.75 mm all'anno (Gabbianelli et al.
          1997).
          
           
           Sui fondali di diverse piattaforme continentali mediterranee si
          rinvengono concrezionamenti ad opera di alghe coralline, briozoi e
          serpulidi di sedimenti detritici costieri contenenti ciottoli sabbia e
          frammenti di conchiglie,. Gli organismi che costruiscono strutture di
          carbonato di calcio portano ad una progressiva sovrapposizione di
          strati calcarei, sui quali possono insediarsi un gran numero di
          organismi, sia massivi sia eretti. L'attività concrezionante è in
          parte bilanciata da organismi perforatori quali clionidi e alghe
          endolitiche (Cerrano et al. 1999). Le alghe calcaree sono
          Rhodophyta (alghe rosse) appartenenti alla famiglia delle Corallinacee.
          In queste alghe la parete è impregnata di carbonato di calcio (CaCO3)
          depositato sotto forma di calcite o aragonite. Vivono in genere fino a
          20 m di profondità anche in zone ad elevato idrodinamismo dove
          possono dare vere e proprie formazioni rocciose. Le specie più note
          sono Mesophyllum lichenoides, Lithophyllum spp., Pseudolithophyllum
          spp. e Lithothamnion spp. Fra le specie calcaree vi sono poi
          delle forme ramificate e grandi qualche centimetro (dei generi Lithophyllum
          e Lithothamnion) chiamate generalmente "praline" o
          col termine bretone "maërl"; si tratta di "bentopleustofite"
          che vagano ruzzolando spinte dalle correnti e finiscono per
          accumularsi in zone depresse più o meno profonde dove insieme a
          briozoi, coralli e gusci di molluschi possono formare anche grandi
          depositi di Rhodoliti, così come li chiamano i geologi. Piccoli
          banchi di maërl sono presenti anche in alcune zone dell'Adriatico
          settentrionale a profondità comprese fra i 30 e i 70 m e non si
          esclude che alcuni di questi potrebbero costituire la base per la
          formazione di "tegnùe" profonde.
          Sui fondali di diverse piattaforme continentali mediterranee si
          rinvengono concrezionamenti ad opera di alghe coralline, briozoi e
          serpulidi di sedimenti detritici costieri contenenti ciottoli sabbia e
          frammenti di conchiglie,. Gli organismi che costruiscono strutture di
          carbonato di calcio portano ad una progressiva sovrapposizione di
          strati calcarei, sui quali possono insediarsi un gran numero di
          organismi, sia massivi sia eretti. L'attività concrezionante è in
          parte bilanciata da organismi perforatori quali clionidi e alghe
          endolitiche (Cerrano et al. 1999). Le alghe calcaree sono
          Rhodophyta (alghe rosse) appartenenti alla famiglia delle Corallinacee.
          In queste alghe la parete è impregnata di carbonato di calcio (CaCO3)
          depositato sotto forma di calcite o aragonite. Vivono in genere fino a
          20 m di profondità anche in zone ad elevato idrodinamismo dove
          possono dare vere e proprie formazioni rocciose. Le specie più note
          sono Mesophyllum lichenoides, Lithophyllum spp., Pseudolithophyllum
          spp. e Lithothamnion spp. Fra le specie calcaree vi sono poi
          delle forme ramificate e grandi qualche centimetro (dei generi Lithophyllum
          e Lithothamnion) chiamate generalmente "praline" o
          col termine bretone "maërl"; si tratta di "bentopleustofite"
          che vagano ruzzolando spinte dalle correnti e finiscono per
          accumularsi in zone depresse più o meno profonde dove insieme a
          briozoi, coralli e gusci di molluschi possono formare anche grandi
          depositi di Rhodoliti, così come li chiamano i geologi. Piccoli
          banchi di maërl sono presenti anche in alcune zone dell'Adriatico
          settentrionale a profondità comprese fra i 30 e i 70 m e non si
          esclude che alcuni di questi potrebbero costituire la base per la
          formazione di "tegnùe" profonde.
          
           Fra gli organismi
          biocostruttori animali possiamo ricordare Cladocora caespitosa
          che è una sclerattinia coloniale endemica del Mediterraneo in grado
          di produrre simbiosi con zooxanthelle come quelle che si osservano
          nelle barriere coralline tropicali. Essa è in grado di vivere in un
          ampio intervallo ecologico: su fondi duri o molli, in acque calme o
          mosse, dalla superficie a circa 50 m di profondità. Tali parametri
          sono in grado di influenzare profondamente la forma generale della
          colonia, che si presenta comunque composta da rametti aventi i calici
          sempre rivolti verso l'alto. Normalmente tale madrepora si considera
          aermatipica (non è cioè in grado di costruire barriere), ma in
          alcune aree sono noti veri e propri banchi: in Corsica, Tunisia e a
          Ustica si conoscono banchi ormai morti e ricoperti da sedimenti, nel
          golfo di Atalanti e nello stretto tra Eubea e la terraferma esistono
          invece formazioni ancora viventi. Un grande numero di invertebrati
          vive tra i rami di C. caespitosa ma i poriferi sono i più
          rappresentati. In particolare, i clionidi sono i principali
          responsabili della distruzione di tali strutture (Cerrano et al.
          1999). Tra i policheti serpulidi che contribuiscono a queste strutture
          troviamo Serpula concharum, S. vermicularis, Pomatoceros
          triqueter, Protula tubularia (Boldrin 1979). Si tratta di
          anellidi in grado di costruire tubi calcarei, più o meno lunghi e
          contorti, in cui si rifugiano. Lo sviluppo di alcune specie è tale da
          formare anche nel giro di pochi decenni estesi reefs, ben noti
          quelli lagunari realizzati da Ficopomathus enigamaticus.
          Fra gli organismi
          biocostruttori animali possiamo ricordare Cladocora caespitosa
          che è una sclerattinia coloniale endemica del Mediterraneo in grado
          di produrre simbiosi con zooxanthelle come quelle che si osservano
          nelle barriere coralline tropicali. Essa è in grado di vivere in un
          ampio intervallo ecologico: su fondi duri o molli, in acque calme o
          mosse, dalla superficie a circa 50 m di profondità. Tali parametri
          sono in grado di influenzare profondamente la forma generale della
          colonia, che si presenta comunque composta da rametti aventi i calici
          sempre rivolti verso l'alto. Normalmente tale madrepora si considera
          aermatipica (non è cioè in grado di costruire barriere), ma in
          alcune aree sono noti veri e propri banchi: in Corsica, Tunisia e a
          Ustica si conoscono banchi ormai morti e ricoperti da sedimenti, nel
          golfo di Atalanti e nello stretto tra Eubea e la terraferma esistono
          invece formazioni ancora viventi. Un grande numero di invertebrati
          vive tra i rami di C. caespitosa ma i poriferi sono i più
          rappresentati. In particolare, i clionidi sono i principali
          responsabili della distruzione di tali strutture (Cerrano et al.
          1999). Tra i policheti serpulidi che contribuiscono a queste strutture
          troviamo Serpula concharum, S. vermicularis, Pomatoceros
          triqueter, Protula tubularia (Boldrin 1979). Si tratta di
          anellidi in grado di costruire tubi calcarei, più o meno lunghi e
          contorti, in cui si rifugiano. Lo sviluppo di alcune specie è tale da
          formare anche nel giro di pochi decenni estesi reefs, ben noti
          quelli lagunari realizzati da Ficopomathus enigamaticus.
           Biodiversità
Biodiversità
          Indipendentemente da come questi affioramenti rocciosi si siano
          generati, tutti rappresentano substrati duri isolati che consentono
          localmente l'insediamento di una fauna e una flora bentoniche
          peculiari e sostanzialmente diverse rispetto a quelle rinvenibili nei
          circostanti fondi mobili. Mentre nei sedimenti, a seconda della
          composizione e granulometria, si rinvengono infaune costituite
          principalmente da policheti, bivalvi e gasteropodi fossori a cui si
          affiancano alcuni echinodermi e crostacei (Vatova 1949; Peres &
          Picard 1964; Gamulin-Brida 1974), sui fondi duri è possibile
          l'insediamento di epibionti sessili, che vivono cioè saldamente
          attaccati al substrato. Tra questi si possono ricordare alcuni
          celenterati, poriferi incrostanti o eretti come Verongia aerophoba
          e Axinella sp., policheti, bivalvi, crostacei cirripedi,
          briozoi e tunicati come ad esempio Polycitor adriaticus e Aplidium
          conucum. All'interno delle rocce calcaree possono inoltre
          insediarsi endobionti come poriferi e bivalvi endolitici (Gabriele et
          al. 1999). Grazie alle cavità e agli interstizi presenti, più o
          meno riempiti di sedimento, possono trovare qui rifugio anche
          moltissime specie mobili, comprese alcune di quelle che albergano nei
          sedimenti circostanti. In genere è possibile riscontrare una elevata
          presenza di crostacei e di echinodermi, tra i quali prevale la specie
          di ofiura Ophiothrix fragilis, non mancano poi nudibranchi,
          cefalopodi, platelminti, sipunculidi, nemertini ed echiuridi. Questi
          ambienti sono inoltre favorevoli per la riproduzione e lo sviluppo
          degli stadi giovanili di molte specie offrendo loro protezione e
          riducendo così la mortalità. In definitiva, la presenza di substrati
          duri nonché di nicchie e gradienti ambientali inducono un aumento
          della diversità specifica (Bisby 1995). Anche la fauna ittica
          associata a questi ambienti è particolarmente ricca e diversificata.
          Infatti possono trovare protezione e alimento pesci bentonici come
          gronghi, piccoli serranidi, corvine, saraghi, labridi, blennidi,
          scorfani e triglie. Spesso anche banchi di pesci pelagici, o comunque
          meno legati al fondale, vengono attratti dalla presenza di queste
          oasi, come nel caso di boghe, occhiate, merluzzi e sardine. Questo
          fenomeno di attrazione, già noto ai pescatori e particolarmente
          studiato per i "reefs artificiali", può essere
          ricondotto a 5 tipologie di comportamento dei pesci: reotassia
          (orientamento rispetto alla corrente), geotassia (orientamento
          rispetto alla costa e alla morfologia del fondale), tigmotassia
          (ricerca del contatto fisico), fototassia (risposta alla luce e
          all'ombra), chemiotassia (risposta a stimoli chimici/olfattivi). In
          realtà è molto difficile comprendere per alcune specie se l'elevata
          densità che si riscontra è semplicemente frutto di una attrazione e
          concentrazione a discapito dei fondali circostanti o se questi
          ambienti supportino un reale aumento della fauna ittica e quindi un
          aumento della produttività (Neves Santos et al. 1997).
          In generale, nonostante le ridotte
          profondità, a causa della frequente torbidità dell'acqua si osserva
          una prevalenza di forme animali rispetto a quelle vegetali. In questo
          mare eutrofico osserviamo stagionalmente l'abbondate sviluppo nella
          colonna d'acqua di microalghe planctoniche che rappresentano gran
          parte della produzione primaria da cui trae origine la rete trofica.
          Il fotoplancton costituisce infatti cibo per lo zooplancton. Insieme,
          particellato organico trasportato dei fiumi, fito- e zooplancton,
          costituiscono alimento per moltissimi organismi bentonici filtratori e
          sospensivori, che in genere dominano le comunità delle tegnùe. Da
          qui le rete trofica prosegue fino ai grandi predatori (es.: Homarus
          gammarus, Maja squinado) mentre parallelamente si
          sviluppano gli organismi detritivori e decompositori. La grande
          disponibilità alimentare e la presenza di comunità ricche e
          diversificate consentono una elevata produzione di biomassa. La
          composizione floro-faunistica è localmente condizionata dai rapporti
          iter- e intraspecifici come competizione, predazione e varie tipologie
          di simbiosi. Fattori ambientali che possono influenzare l'insediamento
          e l'abbondanza delle diverse specie sono l'idrodinamismo, i tassi di
          sedimentazione, la profondità e la torbidità media delle acque che
          condiziona la penetrazione della luce e quindi la sopravvivenza delle
          forme vegetali. Anche la presenza di inquinanti o di altri fenomeni di
          disturbo, naturale o antropico, possono condizionare le diverse
          popolazioni ed i rapporti reciproci. Per questo motivo affioramenti più
          o meno lontani dalle coste, sotto l'influenza o meno di foci fluviali
          o di scarichi civili e industriali possono presentare comunità
          bentoniche anche molto diverse tra loro.
          In Adriatico settentrionale oltre alle tegnùe vi sono moltissimi
          altri reefs "artificiali", alcuni sono stati
          intenzionalmente costruiti per scopi specifici come le piramidi di
          blocchi di cemento o di altri materiali, deposti per creare zone di
          ripopolamento e proteggere alcuni ambienti impedendo localmente la
          pesca a strascico (Bohnsack & Sutherland 1985; Bombace et al.
          1994, 1997; Bombace 1989, 1997), oppure nel caso di opere portuarie e
          di altre opere di difesa costiera (pennelli, scogliere frangiflutti
          emerse, sommerse o soffolte, scogliere radenti, ecc.; Airoldi et al.
          2000) o anche nel caso di strutture offshore connesse allo
          sfruttamento dei giacimento metaniferi (Falace & Bressan 1997;
          Bombace et al. 1999; Fabi et al. 1999). Costituiscono reef
          artificiali anche diversi relitti tra i quali il più famoso e
          studiato è quello della piattaforma di perforazione Agip
          "Paguro" (Ponti et al. 1998, 1999, 2000; Giovanardi
          & Rinaldi 1999). Confrontando alcuni reefs naturali con
          alcuni artificiali sono state osservate comunità sostanzialmente
          diverse tra loro. Ad esempio il numero di specie di poriferi in genere
          è maggiore sui substrati naturali ma cala all'aumentare della
          torbidità dell'acqua. Al contrario i bivalvi e i policheti sembrano
          essere rappresentati da un maggior numero di specie sui substrati
          artificiali, dove in particolare è caratteristica la presenza di
          ostriche (Ostrea edulis, Crassotrea gigas) e cozze (Mytilus
          galloprovincialis). Le comunità dei substrati naturali invece si
          caratterizzano per l'elevata presenza di specie di ascite, tra cui
          domina Polycitor adriaticus. Queste differenze appaiono però
          principalmente dovute non tanto alla diversa natura del substrato
          quanto alla diversa elevazione dal fondale, la diversa torbidità
          delle acque, la presenza sulle barriere artificiali di pareti
          verticali sulle quali l'accumulo dei sedimenti è ridotto (Gabriele et
          al. 1999).
          
           Salvaguardia
          Salvaguardia
          Le tegnùe rappresentano ambienti particolarmente importanti dal punto
          di vista naturalistico sia perché aumentano la biodiversità dei
          fondali adriatici sia perché offrono alimento e protezione a numerose
          specie favorendone la riproduzione e riducendo la mortalità.
          Purtroppo però sono ambienti delicati che possono risentire
          negativamente di fenomeni di disturbo sia naturali, come nel caso di
          massicci apporti di sedimenti alluvionali, sia antropici. Tra questi
          ultimi costituiscono gravi minacce l'inquinamento, la discarica di
          rifiuti, la pesca indiscriminata con strumenti atti a raschiare il
          fondale, l'ancoraggio. Persino un'eccessiva presenza di subacquei non
          opportunamente sensibilizzati sulla vulnerabilità di questi ambienti
          potrebbe localmente creare danni ai popolamenti soprattutto delle
          specie erette (Davis & Tisdell 1995). Data la ridotta elevazione
          anche le crisi anossiche, che periodicamente di verificano nei pressi
          dei fondali in seguito ai fenomeni eutrofici e alla stratificazione
          della colonna d'acqua, possono causare seri danni alle comunità. Ad
          esempio, a seguito di una importante crisi, nel 1977 Boldrin (1979)
          osservò danni alle popolazioni di poriferi, echinodermi, crostacei,
          bivalvi tra cui Pinna nobilis, ed inoltre i pescatori e
          ricercatori assistettero ad un accumulo verso costa e alla moria di un
          gran numero di pesci ed astici (Scovacricchi 1998). La realizzazione
          di impianti di maricoltura o di strutture artificiali finalizzate al
          ripopolamento ittico, in alcuni casi proposte all'interno delle aree
          ove le tegnùe sono più abbondanti (Mascarello et al. 1998),
          andrebbe valutata con molta attenzione dato che questi potrebbero
          essere fonte di accumulo di detriti organici con un conseguente
          impatto negativo a breve e lungo termine sui delicati equilibri
          ecologici che consentono lo sviluppo e l'accrescimento di queste
          strutture organogene (Molina Domýnguez et al. 2001; Mazzola
          & Sarà 2001; Kraufvelin et al. 2001; Karakassis et al.
          1999, 2000). Seguendo l'esempio delle esperienze condotte in diversi
          stati europei, oggi anche nell'ambito delle tegnùe sono allo studio
          interventi di ripopolamento di una importante e pregiata specie il cui
          eccessivo sfruttamento nonché le crisi anossiche hanno causato negli
          anni una forte contrazione degli stock: si tratta dell'astice Homarus
          gammarus. I primi risultati prodotti dalla sperimentazione in
          campo appaiono confortanti (Scovacricchi 1997, 1998a, 1998b;
          Scovacricchi & Burton 1998).
          
Nell'ambito
          di una corretta ed oculata gestione costiera integrata andrebbero
          previsti interventi a tutela almeno di una parte di questi ambienti
          così importanti e delicati. In questo contesto appare molto
          interessante ed appropriata la proposta del Comune di Chioggia, in
          accordo con le associazioni di pesca e col supporto degli enti di
          ricerca, di istituire una zona di tutela biologica. Le zone di tutela
          biologica in particolare vengono istituite mediante decreto del
          Ministero delle Politiche Agricole, di concerto con i vari organi ed
          enti competenti in materia sia a livello locale che nazionale, ai
          sensi della Legge 963 del 1965 e del DPR 1639 del 1968 e successive
          modifiche, ai fini di salvaguardia e di ripopolamento delle risorse
          marine (Diviacco 1999). Queste aree vengo individuate mediante
          appositi studi scientifici che ne comprovino l'importanza per la
          riproduzione o l'accrescimento di specie marine di rilievo economico.
          Pur non essendo esplicitamente prevista una gestione attiva è
          comunque possibile prevedere azioni di sviluppo nonché attività
          didattiche e ricreative compatibili. Un particolare esempio in tal
          senso è offerto dal relitto della piattaforma di perforazione Agip
          "Paguro", affondata al largo di Ravenna a seguito di un
          incidente nel 1965, e dal 1995 zona di tutela biologica e importante
          meta turistica. In questo caso, grazie alla gestione da parte
          dell'associazione "Paguro" e al controllo operato dalla
          Capitaneria di Porto, la presenza dei subacquei appare compatibile con
          la tutela dell'ambiente (Ponti et al. 2000). La proposta di
          istituire una zona di tutela biologica, presentata al pubblico dal
          Sindaco Dott. Fortunato Guarnieri in occasione della conferenza
          tenutasi a Chioggia il 9 dicembre scorso, ha già intrapreso l'iter
          burocratico e presto si avranno le prime risposte concrete. Nonostante
          questo è necessario approfondire le conoscenze scientifiche su questi
          ambienti e promuovere nuovi progetti di ricerca. In questo contesto,
          oltre all'applicazione delle più moderne tecniche di indagine
          scientifica e di sperimentazione in ambiente, sarà possibile,
          seguendo le esperienze americane e australiane ma anche quelle
          italiane, coinvolgere anche i subacquei sportivi, che frequentano in
          gran numero le tegnùe così come i relitti in particolare quello del
          "Paguro", in attività di censimenti visivi finalizzati alla
          valutazione dell'abbondanza di alcune specie di facile riconoscimento
          ma al contempo di elevato interesse ecologico ed economico. Fra le
          specie da censire vi sono ad esempio l'astice e il grongo. Le
          informazioni ricavabili in questo modo, se adeguatamente predisposte
          ed analizzate, pur tenendo conto degli innegabili limiti di
          accuratezza e precisione derivanti dall'inesperienza dei subacquei,
          possono comunque fornire un importante contributo all'ampliamento
          delle conoscenze sulla biodiversità di questi ambienti. A tal fine
          vari enti di ricerca nazionali stanno predisponendo degli "Underwater
          Watching Project" in grado di coinvolgere e coordinare in
          modo opportuno i tanti subacquei sportivi.
          Letteratura
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