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Le “tegnùe” di Chioggia: nuovi dati e osservazioni sulla base di campionamenti acustici ad alta definizione

 

O. Giovanardi1, G. Cristofalo2, L. Manzueto1 e G. Franceschini1

 

 1 Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare (ICRAM) – Località Brondolo, 30015 Chioggia (VE).

2 Geophysical and Geological Services (GGS) - Studio Tecnico Associato, Via Luigi Borsari 8/a, 00122 ROMA

 

 

 

Introduzione


Le prime ricerche specifiche sulle concrezioni organogene dell’Alto Adriatico (chiamate anche “tegnùe”) risalgono alla fine degli anni ‘60 (Stefanon, 1966, 1967, 1969; Braga e Stefanon, 1969; Segre, 1969), ma già questo tipo di formazioni erano conosciute in letteratura (Perès e Picard, 1964). Stefanon e Newton pubblicano molti contributi a riguardo negli anni ‘70 (Newton e Stefanon, 1975a, 1975b, 1976, 1982; Stefanon, 1971a, 1971b, 1972, 1979; Stefanon e Mozzi, 1972, 1973).

 

Inizialmente le concrezioni organogene dell’Alto Adriatico erano classificate in tre tipologie: concrezioni totalmente organogene, croste organogene impostate su strutture sedimentarie relitte, sottili ricoprimenti organogeni di affioramenti rocciosi di tipo “beachrock” (Stefanon, 1979, 1984; Newton e Stefanon, 1982). Le concrezioni organogene di Chioggia ricadevano nella prima categoria (Newton e Stefanon, 1975b).

 

Un’ampia bibliografia sulle beachrock del mediterraneo è documentata in De Muro e Orrù (1998), Fanucci et al. (1974), Got et al. (1981) e Ulzega et al. (1980).

 

Concrezioni organogene simili a quelle dell’alto Adriatico erano state comunque descritte da vari autori in altre zone del Mediterraneo, ma a differenti profondità e con ipotesi evolutive differenti (Taviani e Trincardi, 1987). Va fatto notare che alcune biocostruzioni di ambiente profondo sono state spesso associate alla presenza di lineamenti tettonici recenti (Chiocci et al., 1989; Aiello et al., 1995). Questo fatto potrebbe essere in qualche modo correlato con emissioni di gas idrocarburi lungo zone di frattura che hanno favorito la precipitazione di carbonato di calcio e di micro organismi metano-dipendenti.

 

Recentemente, Colantoni et al. (1997a, 1997b, 1998) e Gabbianelli et al. (1997) introducono l’ipotesi che le concrezioni organogene si siano impostate su lastroni di argilliti o marne, arenarie bioclastiche o su letti di conchiglie di molluschi di ambiente infralitorale. L’ipotesi è che questi livelli “duri” abbiano subito una prima fase di cementazione diagenetica, sepolti sotto una coltre di altri sedimenti, durante la fase di regressione marina nell’ultimo glaciale (Würm) per precipitazione di carbonato di calcio delle acque di falda in un ambiente di transizione alluvionale-deltaico, favorita dai processi di ossidazione batterica dovuta alla presenza di impregnazioni di gas metano. Questi livelli cementati sarebbero in seguito stati portati a giorno per erosione dei sedimenti soprastanti durante la fase di esposizione subaeraea nel periodo di acme glaciale e di trasgressione e ulteriormente litificati per precipitazione di carbonato di calcio da acque meteoriche o da acque marine in ambiente di spiaggia (formazioni delle beachrock).

 

Una volta annegati ad una profondità di 10-15 m, questi lastroni, rimasti parzialmente scoperti dalla sedimentazione della fase di High Stand (alto stazionamento del livello marino, successivo alla fase di trasgressione), sarebbero stati interessati da una intensa crescita di alghe coralline di ambiente relativamente freddo resistenti ad intense condizioni idrodinamiche e di luce. Su questa prima “crosta” sarebbero poi attecchite, con il progressivo aumento della profondità fino all’attuale livello di stazionamento del mare, forme di organismi bentonici costruttori quali briozoi, serpulidi, coralli, policheti etc., meno tolleranti alle sopravvenute condizioni ambientali ma con popolazioni più diversificate.

 

In sintesi si può dunque riassumere che attualmente le ipotesi più accreditate sull’origine delle tegnue siano tre:

     

  • La prima, è che queste concrezioni organogene si siano impostate su dei lembi di “beach-rock” ovvero su delle paleospiagge cementate, un tempo emerse durante le varie fasi di oscillazione eustatica del tardo Pleistocene-Olocene, e definitivamente annegate alla fine dell’ultima ingressione marina (trasgressione olocenica o Versiliana).

  • La seconda, è che queste concrezioni si siano accresciute su nuclei concrezionati del fondale sabbioso limoso per precipitazione di carbonato di calcio legata alla fuoriuscita di fluidi contenenti frazioni gassose metanifere e sulfuree. Intorno a questi nuclei si sono avute inoltre delle probabili concentrazioni di taluni minerali e nutrienti che hanno innescato un ciclo di crescita di colonie solfo-batteriche e di conseguenza di una catena alimentare per organismi bentonici sia vegetali che animali.

  • La terza, è che le concrezioni si siano impostate su relitti di erosione, probabilmente sepolti e poi rierosi dalle correnti o dall’ultima fase di emersione costituiti da lembi calcarenitici non facilmente collocabili.

Per meglio comprendere e quantificare le caratteristiche e le peculiarità delle “tegnùe”, l’ICRAM di Chioggia ha intrapreso delle indagini con metodi acustici che, in fase iniziale, hanno previsto la caratterizzazione geomorfologica di un’area poi inscritta nella Zona di Tutela Biologica delle “Tegnùe di Chioggia” (area n° 1), dichiarata il 5 agosto 2002 con Decreto del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali su richiesta del Comune di Chioggia. Infatti, un qualunque intervento di ricerca ed indagine su un tale, ideale, laboratorio naturale richiede di base la conoscenza dettagliata dell’area e, se possibile, delle sue origini.

 

Questo lavoro si propone quindi di offrire uno studio geomorfologico di sintesi sulle “Tegnùe di Chioggia”, cercando di sfruttare appieno la quantità e qualità dei dati oggi in possesso dell’ICRAM di Chioggia. Esso si propone inoltre di aggiungere nuove informazioni e spunti di discussione sull’origine ed evoluzione di queste concrezioni.


Materiali e metodi

 

Nell’Agosto 2001 e nel Febbraio 2002 sono stati eseguiti due rilievi batimorfologici nell’area oggetto di studio (Fig.1), ubicata a circa 4,5 Km al traverso di Chioggia, utilizzando un SIS 1500 Chirp Side-scan Sonar (SSS) della Datasonics ed un Multibeam Reson Seabat 8101 (Fig. 2).

 

 

Non è stato possibile replicare esattamente con il Multibeam il campionamento effettuato con il SSS; ci si è quindi concentrati su quella porzione dove erano stati rilevati gli elementi più estesi delle “tegnùe”.

 

Durante i campionamenti la rotta della nave impiegata è stata registrata con un sistema di posizionamento GPS Differenziale (DGPS), che ha permesso di ottenere un’accuratezza orizzontale inferiore al metro.

 

I tracciati originali side-scan sonar, 19 linee in tutto con copertura di 200 m (range 100 m/canale) in formato XTF, sono stati esaminati con il software applicativo SwanPro 1.35. Sulla base di questi dati, è stato realizzato poi un foto-mosaico del fondo in formato digitale.

 

I dati batimetrici ottenuti con il multibeam, avendo una risoluzione massima teorica verticale di 1,25 cm e una densità maggiore di 5 letture per m2, hanno consentito poi di ottenere un DTM (Digital Terrain Model) del fondo marino di estremo dettaglio.

 

Dal DTM sono stati ricavati una carta batimetrica con isobate intervallate di 0,5 m, una carta con lo “shaded relief” del fondo con sorgente luminosa virtuale posta a 90° (direzione Est) e con azimut a 290°, e una carta batimetrica a fasce di colore.

 

L’interpretazione geomorfologica dei substrati presenti nell’area è stata condotta a schermo, confrontando e verificando ogni tracciato side-scan sonar anche con i dati del multibeam, e trasferita successivamente su carta. Alla fine di questa fase, la carta risultante è stata digitalizzata e georefenziata (Datum: WGS84; Ellissoide WGS84; Proiezione UTM Zona 33N) in ambiente AutoCAD14.

 

Il file con le informazioni di dettaglio sulla disposizione dei vari tipi di substrato presenti nell’area è stato infine importato in ArcView GIS 3.2, dove i singoli elementi sono stati trasformati in poligoni allo scopo di misurarne perimetro ed area.


Risultati

 

L’area esaminata con il side-scan sonar (circa 23 Km2) è rappresentabile come un rettangolo di 7,16 x 3,18 Km, con il lato lungo orientato NO-SE. Le profondità (dati multibeam) sono comprese tra un massimo di 23,5 m nel lato più meridionale ed un minimo di 17,5 m in corrispondenza di una cresta di una “tegnùa” ubicata nella parte settentrionale dell’area.

 

 

Il foto-mosaico dei tracciati side-scan sonar (Fig. 3) illustra la disposizione degli elementi delle “tegnùe” sul fondo marino; un dettaglio delle strutture più consistenti e della loro profondità è mostrato nel rilievo dello “shaded relief” e nella carta batimetrica ottenuti dai dati Multibeam (Figg. 4 e 5)

 

 

 

La carta geomorfologica (Fig. 6) evidenzia la presenza di concrezioni organogene assimilabili a formazioni rocciose vere e proprie giacenti su un fondale circostante tendenzialmente piatto ed omogeneo costituito da peliti e peliti sabbiose (frazione di argilla compresa tra il 95 e il 70%, frazione di sabbia compresa tra il 5 e il 30%).

 

 

Le concrezioni rocciose si presentano con forme di solito allungate o, a volte, con forme a losanga. Altre piccole formazioni hanno forma irregolare o anche a “patch” o addirittura puntiforme. Nella carta sono state inoltre evidenziate le creste principali delle concrezioni con forma lineare.

 

Sono state anche individuate e mappate delle aree ad alta riflettività (high “backscatter”) alla base e nell’intorno delle concrezioni stesse che, non avendo rilievo, sono state interpretate come depositi clastici a prevalente frazione detritico-bioclastica derivante dal disfacimento delle concrezioni adiacenti e da tanatocenosi di organismi bentonici (molluschi bivalvi, gasteropodi, alghe calcaree, ecc.).

 

L’analisi della carta geomorfologica digitale effettuata con il software GIS ha permesso infine di misurare l’area occupata da queste due categorie di substrato (Tabb. 1 e 2).


Discussione e conclusioni

 

La carta geomorfologica aggiunge nuovi dati e informazioni sulla geometria di queste biocostruzioni  e quindi lascia spazio ad alcuni nuovi spunti di interpretazione sulla loro origine.

 

Da questa carta, infatti, si evince che tali concrezioni affiorano sul fondale spesso con andamento lineare, dando luogo  a volte a delle morfologie di tipo dendritico, soprattutto in quelle ubicate nella parte nord-occidentale dell’area investigata. Inoltre alcuni di questi allineamenti si presentano spesso accoppiati e con andamento curvilineo (Fig. 7) che ricorda l’andamento di piccoli meandri o canali attualmente presenti in laguna.

 

 

Si fa notare inoltre che l’asse principale della “tegnùa” più estesa e rilevante, ubicata nella parte nord-ovest dell’area investigata, ha un andamento grossomodo est-ovest e quindi approssimativamente ortogonale all’attuale linea di costa. In sezione spesso le concrezioni presentano un profilo asimmetrico a triangolo scaleno con le creste spostate verso il lato più ripido (Figg. 8 e 9). Questo andamento asimmetrico era già stato evidenziato da Stefanon (1979). Le biocostruzioni si elevano poi dal fondo mobile da 1 a 4 m a volte con margini piuttosto bruschi e ripidi.

 

Una estesa concrezione evidente al centro dell’area si presenta invece con una forma a losanga  con alcuni lineamenti  tra loro paralleli e leggermente arcuati quasi a disegnare un complesso di dune. Le concrezioni più a sud-est hanno un carattere spesso irregolare con rare forme allungate con direzione nordest-sudovest.

 

Minuscole concrezioni puntiformi, con dimensioni a volte inferiore al metro sia in diametro che in altezza, sono disseminate nella parte marginale nord-occidentale dell’area.

 

Facendo una ricostruzione dell’ambiente originario dove si sarebbero formate le “tegnùe”, va detto che il paesaggio di quest’area nell’ultimo periodo glaciale (acme glaciale “würmiano”, 18000-20000 anni b.p.) doveva essere un’enorme valle alluvionale padana caratterizzata da un imponente sistema fluviale-lacustre controllato dai principali fiumi, che attualmente sfociano lungo le coste del nord-adriatico, e in particolare dal Po. Il livello del mare era più basso di –120 m dell’attuale e di conseguenza al termine della regressione marina la linea di costa in quel tempo si andava ad attestare intorno alla fossa meso-adriatica, grossomodo all’altezza di S. Benedetto del Tronto. Il livello di base dei fiumi, che drenavano l’appennino tosco-emiliano e le alpi sul versante padano, era dunque molto più in basso di oggi  e dotava il sistema fluviale di una elevata energia  potenziale ed erosiva. Enormi quantità di detrito venivano trasportate e depositate a valle e in prossimità delle foci. La successiva ingressione del mare a partire da 16000 fino a 6000 anni or sono portò all’arretramento della linea di costa fino ad una quota di circa –25 m da livello attuale del mare. In quel periodo dunque (6000 b.p.) l’area in esame era ancora emersa e molto vicina all’allora linea di costa. L’ambiente doveva essere molto simile a quello del delta del Po attuale, con canali alternati a lagune, barre e dune.

 

Da queste premesse e dalle osservazioni ricavate dalla carta geomorfologica delle “tegnùe” si potrebbe tentare di ipotizzare una ulteriore ipotesi sull’origine ed evoluzione di queste concrezioni rocciose organogene.

 

L’ipotesi è che le concrezioni dendriformi si siano accresciute su dei nuclei sabbioso-ghiaiosi costituiti da relitti di argini naturali, con spiccata forma asimmetrica, e di barre di centro-canale o di meandro (forma a losanga con cordoni e solchi) in un ambiente alluvionale di tipo braided (Fig. 10) o di ambiente deltizio dopo essere stati definitivamente annegati e sommersi tra i 6000 e i 2000 anni fa, data alla quale il livello marino si è stabilizzato alle quote attuali.

 

 

Questa ipotesi non escluderebbe che alcune di queste formazioni studiate o di altre simili presenti in alto adriatico si siano impostate su delle “beach-rock” e non escluderebbe neanche il fatto che alcune di queste, soprattutto quelle di forma puntuale o a “patch” si siano accresciute invece intorno a dei nuclei concrezionati per fuoriuscita di fluidi dal sottofondo collegata ad emissioni di idrocarburi gassosi.

 

Ulteriori studi nell’area delle “tegnùe”, quali un rilievo sismico con subbottom profiler di tipo Chirp e mini-sparker nonché una campagna di carotaggio mediante l’uso di una sonda meccanica montata su pontone, potrebbero fornire ulteriori informazioni chiave per la conoscenza e comprensione dell’assetto stratigrafico e litologico delle tegnue.


Ringraziamenti

 

Desideriamo ringraziare in modo particolare la “Communication Technology” (http://www.comm-tec.com/) e la  “Thales GeoSolutions Italia” (http://www.thales-geosolutions.it/) per aver gentilmente fornito la strumentazione acustica impiegata e per la loro preziosa assistenza tecnica durante i rilievi batimorfologici (SSS e Multibeam).



Bibliografia

 

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Tabella 1. Caratteristiche spaziali degli elementi delle “tegnùe”: concrezioni organogene.

 

Classe di superficie (km2)

Numero

elementi

% sul totale

degli elementi

Area ricoperta in totale (km2)

% sul totale

della superficie

Area media (km2)
< 0,01 29 65,9 0,094 6,8 0,003
0,01 – 0,1 12 27,3 0,395 28,6 0,033
0,1– 0,5 3 6,8 0,891 64,6 0,297
Tot. 44 100 1,380 100 0,031

 

Tabella 2. Caratteristiche spaziali degli elementi delle “tegnùe”: aree di detrito conchigliare e bioclastico.

 
Classe di superficie (km2)

Numero

elementi

% sul totale

degli elementi

Area ricoperta in totale (km2)

% sul totale

della superficie

Area media (km2)
< 0,01 25 53,2 0,086 6,5 0,003
0,01 – 0,1 17 36,2 0,454 34,4 0,027
0,1– 0,5 5 10,6 0,780 59,1 0,156
Tot. 47 100 1,320 100 0,028

 

 

 
   
 
 
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